Durante le nostre estati, numerose sono le attivita’ di cooperazione e volontariato internazionale e spesso arrivano famiglie, bambini e giovani provenienti da realta’ drammatiche, come i ragazzi di Kramators’k e Sumy , vicini alla linea del fronte ucraino, giunti nel nostro paese grazie a Caritas.
Sono passati piu’ di 30 anni da quando con le Acli accoglievamo le persone , le famiglie ed i ragazzi in fuga dai Balcani,dalla Bosnia, con le loro storie suffuse, gridate o rassegnate , le loro speranze sfregiate, le stesse dei volti di oggi. Siamo ancora qui.
In questo ritorno di un passato , di una storia che nessuno avrebbe mai pensato di rivivere , sta anche una nostra sconfitta, pur attenuata dalla consapevolezza di condividere con questi ragazzi un momento di serenita’ ritrovata , benche i loro pensieri siano sempre rivolti a quei luoghi , alla casa, ai loro familiari lontani e in pericolo.
Paghiamo la debolezza ed insufficienza di una politica fatta di messaggi appelli ed esortazioni morali ininfluenti che, come abbiamo visto, i protagonisti dei conflitti, stati, eserciti, forze irregolari, galassie terroristiche, governi, apparati hanno ignorato e respinto , senza troppi problemi e remore.
Da quando con arroganza irresponsabile Trump ha annunciato che avrebbe posto fine hic et nunc ai due principali fronti di conflitto , Putin e Netanyahu hanno cercato di definire a proprio vantaggio i rapporti forza ,intensificando le azioni sul terreno , in funzione di tregue e trattative che sembrano non arrivare mai , che in realtà non si vogliono, perchè si aspira ancora alla vittoria totale sul nemico.
In tutto ciò, per quanto la cosa possa apparire cinica, il numero delle vittime è totalmente irrilevante.
Nell’attuale scenario internazionale, si sono confermate alcune linee di un futuro che riflettono la profondità delle trasformazioni e delle sfide in corso.
La fine della cooperazione multilaterale e il ritorno della politica di potenze che trova il suo perno nella frammentazione delle alleanze e nell’impotenza dell’ ONU e altre istituzioni internazionali, incapaci di gestire crisi multiple e simultanee.
La polarizzazione politica ed economica, un antagonismo tra blocchi geopolitici e la mancanza di un ordine condiviso che accentuano sempre più l’instabilità e la difficoltà di prevenire escalation regionali e globali.
“Normalizzare” il caos e il disordine : Si sta attraversando una lunga fase di convivenza con l’insicurezza e la guerre, sia militari che commerciali , come dimensione ormai ordinaria della politica, in un’epoca di tecnologie sempre più sofisticate, rischi acuti e necessità di cercare nuove forme di confronto e sicurezza collettiva.
Diventano fondamentali a questo punto la resilienza e la capacità di adattamento. Ma per poter fare ciò , dobbiamo guardarci in volto e fare a noi stessi un discorso di verita’ , come ha fatto la scrittrice , saggista e dissidente turca Ece Temelkuran sulle pagine della rivista Internazionale.
Dopo esserci abituati per anni alla retorica che chiude sempre ogni articolo , analisi , manifestazione, discorso e atto politico con una nota positiva sulla democrazia, abbiamo paura di dirci che, sino ad ora , come democrazie siamo stati “sconfitti”.
Eppure, riconoscerlo sarebbe l’occasione di liberarsi dalla messinscena che continuiamo a interpretare da tre anni . C’è un’umiltà politica e morale in questa consapevolezza, che ci richiama alla solidarietà e ad una resistenza autentica.
Nulla e’ perduto sia chiaro, ma cosa rimane? Cosa rimane dopo le involuzioni e rivoluzioni , dopo i progressi e le regressioni che abbiamo attraversato in questi anni?
Stiamo vivendo un momento di cambiamenti che mettono tutto e tutti in discussione e che alimentano, paure , speranze, insicurezze , sogni e visioni distopiche.
Mutamenti che ci interrogano , sull’importanza della completezza, della natura e delle fonti di informazioni, su aspetti decisive dell’economia, del commercio internazionale e della globalizzazione, elementi che hanno un ruolo determinante nelle nostre democrazie , nella costruzione di un senso comune , nel posizionamento politico sia dei partiti che delle organizzazioni di interesse e della società civile.
Non a caso le forze ostili alle democrazie stanno puntando sforzi e risorse immani, uomini e mezzi sulla disinformazione, una guerra ibrida per costruire un consenso prepolitico sulle scelte decisive e strategiche di un paese.
Le innovazioni stanno incidendo sul quadro antropologico, riplasmano le fonti stesse della conoscenza e le facoltà cognitive individuali e collettive. Viviamo una rottura tecnologica evolutiva epocale.
Mentre i grandi mediatori istituzionali, politici e statuali faticano a ritrovare un loro nuovo ruolo , in questo cambio di paradigma sociale e culturale che idea si sta affermando di se e degli altri? e della propria comunità di appartenenza?
Soprattutto in quei contesti in cui la società multiculturale, con tutte le sue contraddizioni di vita reale e di identità, si è già concretizzata e in cui siamo oltre l’orizzonte monoculturale, nazionale, etnico e religioso in cui sono cresciute le nostre generazioni fino a 15/20 anni fa.
Siamo in una terra di mezzo. In un flusso e con scansioni di tempi di vita e di lavoro ormai indistinti i cambiamenti arrivano in modo immediato : si sarebbe voluto avere più tempo, per parlare ,per capire ,per confrontarsi e trasmettere delle esperienze.
Non siamo pronti alla velocità di queste trasformazioni, di queste accelerazioni della storia, bisogna perciò avere, non solo capacita° d’ascolto, ma anche sempre di ridiscussione. Non dare nulla per scontato.
Nel rapporto con le nuove generazioni, ci si rende conto di questa appartenenza debole , di questa delega sempre pronta ad essere ritirata, capacita’ di interessi e mobitazioni anche immediata che convivono con i timori di queste identità incerte.
Le organizzazioni , gli attori istituzionali, i soggetti politici tutti, possono e devono assumere queste consapevolezze.
Ma se spostiamo lo sguardo verso strati di storia più profondi e remoti , ci rendiamo conto che quella politica ,quelle narrazioni forti e valoriali senza le quali sembra di aver perso ogni riferimento, sono sempre stati dei mezzi, mai dei fini in se stessi, ma solo degli strumenti attraverso i quali si cercava di realizzare una tensione e una spinta molto anteriore:
l’idea che una volta eravamo soliti rappresentare come lotta e utopia di un emancipazione radicale e che ora ritorna come possibilità di una conquista sostanziale della propria pienezza individuale, fuori da ogni condizione di minorità precostituita per tutte le donne e gli uomini del nuovo millennio.
Dove la pace stabilita’ e relazioni poltiche e sociali non violente rappresentano un assetto non piu’ scontato, nella consapevolezza che le nostre inaspettate fragili democrazie andranno difese e protette.
Non vi è alcun motivo di abbandonare quei pensieri solo perché le vie che lo hanno reso famigliare si sono chiuse e hanno esaurito da tempo il loro compito: la tutela dei diritti e la dignità delle persone, l’emancipazione dei popoli rappresentano un fine ancora attuale , consapevoli che oggi l’umanità violata non conosce confini ne geografie .
Gli stati assoluti posero fine alle guerre civili e religiose europee nel XVII secolo e riuscirono a imporre la pace perché progressivamente presero il monopolio della forza ,disarmarono le fazioni stabilirono sistemi legali , giudiziari , statuali unificati e unificanti
Thomas Hobbes diceva ” auctoritas, non veritas , facit legem “, il diritto e il sopruso, la giustizia e ingiustizia in astratto non hanno luogo. Laddove non esiste un potere comune , non esiste legge; dove non vi è legge non vi è giustizia.
Come allora, oggi solo un patto politico fra stati che faccia nascere uno o più soggetti internazionali ( o riformi alla radice le Nazioni Unite ) che assuma su di se il monopolio della forza , neutrale e terzo, potra’ imporre le tregue e la pace , contenere con la diplomazia e la deterrenza , la volonta’ di dominio ed impero delle potenze.
Assumendo la consapevolezza che solo la forza dei diritti umani e un insieme di istituti strumenti e apparati sanzionatori in grado di renderli effettivi, applicarli e difenderli , garantiranno la pace del futuro.
” Quando gli dèi non c’erano più e Cristo non era ancora arrivato ,tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui e’ esistito l’uomo, solo.” Nulla più di questa frase di Gustave Flaubert, può fare sintesi migliore dell’analogo sentimento di spaesamento che anche noi stiamo vivendo, il segno, la cifra che sembra segnare la nostra contemporaneità.
La fine di un’epoca storica , le crisi globali , le guerre totali che mettono in discussione modelli di sviluppo e di vita e le sue prospettive future, i processi di trasformazione identitaria e culturale, ci fanno testimoni , spettatori, ideatori ,protagonisti o comprimari di un tempo unico della storia
Tutto è in ridiscussione : i vecchi mondi sono tramontati e i nuovi non sono ancora arrivati , ma ne scorgiamo le tracce: esperienze liminari, visioni, traumi, trasformazioni ominescenti, elementi di tenuta e discontinuità che si alternano nel tempo, e probabilmente, solo alla fine, quando si saranno pienamente dispiegati ne scorgeremo e ne ritroveremo il profilo netto , gli elementi di valore di continuità e di senso.

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