Difesa vs militarismo, la sfida della sinistra in Europa

di Hanna Perekhoda , storica e ricercatrice Universita’ di Losanna

Una recente discussione sul riarmo e la militarizzazione hanno aiutato a chiarirmi le idee. Sono consapevole del fatto che la mia posizione non è condivisa da molti a sinistra – e va bene così. Quello che auspico è che possa generare uno spazio per una riflessione onesta, per me tanto quanto per gli altri.

Ma prima ancora di iniziare a parlare di Difesa, dobbiamo porci una domanda fondamentale: esiste una minaccia reale per noi? E per rispondere, dobbiamo definire cosa intendiamo con “noi”.

A livello nazionale, per la maggior parte dei paesi dell’Europa centrale e occidentale, non esiste effettivamente alcun rischio di un’invasione militare diretta. E molti populisti di sinistra e di destra si esprimono solo in termini nazionali: “Non esiste una minaccia militare per il nostro paese, quindi perché dovremmo spendere soldi per la Difesa?”.

Se invece assumiamo una prospettiva europea, allora dobbiamo ammettere che sì, l’Europa come entità è minacciata. Ma la forma di questa minaccia varia a seconda della posizione. Se includiamo l’Ucraina nella nostra idea di Europa, allora la guerra è già qui, ed è di proporzioni enormi.

Per i paesi a ovest dell’Ucraina, il pericolo non è certo costituito dai carri armati in marcia verso Berlino. Uno scenario plausibile è una provocazione nei paesi baltici, al fine di testare la credibilità della deterrenza europea.

Ciò che conta come invasione oppure no è sempre una questione di interpretazione. Ricordate: gli aerei da guerra russi stanno già violando lo spazio aereo di altri paesi. Passo dopo passo, testano fino a che punto possono spingersi.

Dal punto di vista di Putin, e’ una tentazione allettante, perché crede che l’Europa occidentale non combatterà mai per pochi milioni di estoni, lituani, moldavi, ecc. E ha motivo di crederlo. Se i grandi Stati decidono che non ne vale la pena, allora la deterrenza crolla.

Per decenni, gli europei hanno fatto affidamento sulla potenza militare americana. Ma questo meccanismo di sicurezza si sta sgretolando. I settori strategici necessari al funzionamento degli eserciti europei dipendono quasi interamente dagli Stati Uniti: trasporto aereo, intelligence satellitare, missili balistici, difesa aerea, ecc.

Se gli Usa si ritirassero, i sistemi di difesa dei paesi europei diventerebbero completamente inoperativi. La realtà odierna è che l’esistenza in sicurezza dei paesi europei dipende dal regime di estrema destra di Trump, che probabilmente non risponderebbe in caso di invasione.

Quindi i paesi baltici, la Polonia e la Finlandia devono ricostituire i loro arsenali e rafforzare le infrastrutture.

Quando il tuo vicino è la seconda potenza militare mondiale che spende un terzo del suo bilancio nella guerra e definisce il tuo paese un “errore storico”, la capacità di difendersi non è una corsa agli armamenti. È sopravvivenza.

Ma questa sopravvivenza è possibile solo con l’aiuto degli alleati dell’Europa occidentale, poiché nessun paese dell’Europa orientale è in grado di produrre le armi necessarie e affrontare da solo l’esercito russo.

Nell’Europa occidentale la minaccia è diversa. Meno legata all’invasione, più all’ascesa dell’estrema destra. Per Putin, per Trump, per J. D. Vance, lo scenario ideale è chiaro: un Europa orientale sotto il dominio russo, l’Europa occidentale guidata da governi di estrema destra che accettano la loro visione di un mondo diviso in zone di influenza autoritarie.

Pertanto qui Difesa significa qualcos’altro: contrastare la disinformazione, proteggere le infrastrutture, bloccare i finanziamenti stranieri in politica, difendersi da attacchi informatici, sabotaggi e ricatti energetici E aiutare coloro che hanno bisogno di armi immediatamente per la propria sopravvivenza. In breve: dobbiamo adattare gli strumenti alle minacce.

E soprattutto, dobbiamo smettere di pensare solo in termini strettamente nazionali. Perché è stata proprio quella logica nazionale ad alimentare secoli di guerra, distruzione e divisione nel continente europeo.

Quindi, dove ci porta tutto questo? Penso che occorra distinguere tra militarismo e Difesa.

Il militarismo è la guerra come opportunità di business, guidata dal profitto capitalista. Significa anche mettere la guerra al centro e subordinare l’intera società ad essa. La Difesa è la capacità della società di proteggersi dalle aggressioni

e oggi, quando le tre maggiori potenze militari minacciano apertamente invasioni – la Cina contro Taiwan, gli Stati Uniti che parlano persino della Groenlandia e la Russia che ha già dichiarato guerra all’Ucraina – non si può fingere che tale problema non esista.

Il problema non è la produzione in sé bensì lasciare che sia il mercato a decidere cosa viene prodotto, per chi, secondo quali regole. Questo è il vero campo di battaglia. Chi decide? Per quale scopo? A quali condizioni?

E qui la sinistra avrebbe un ruolo cruciale da svolgere: imporre rigide regole sulle esportazioni, trasparenza sui contratti, controllo democratico.

Ora, anche nella mia organizzazione, sento dire: “Non abbiamo la capacità di imporre tali regole”. E mi chiedo: abbiamo forse più capacità di abolire la guerra e le armi su tutto il pianeta?

A questo punto, dovremmo essere onesti. Gli slogan sull’abolizione della guerra non sono più politica. Sono molto più vicini al sentimento religioso, incontaminati dalle esigenze della realtà.

Quando solleviamo richieste apparentemente radicali senza alcun mezzo per realizzarle e senza un’organizzazione di massa in campo, il risultato pratico è semplice: abbandoniamo il campo a chi è già al potere, che organizzerà quindi la Difesa interamente secondo le proprie regole e i propri interessi. E otterremo esattamente il militarismo a cui affermiamo di opporci.

Possiamo, naturalmente, affermare che mantenere posizioni massimaliste acuirà le contraddizioni, approfondirà le divisioni sociali e accelererà il crollo dello Stato borghese. Anche se una dittatura militarizzata si trova accanto. Perché scommettiamo che quando il nostro Stato crollerà, le persone che vivono nella dittatura del paese confinante si solleveranno anche loro e nel nostro paese saremo noi, non l’estrema destra, a prendere il potere.

Bene. Ma siamo seri per un momento. Quali sono oggi le probabilità che le persone si ribellino in Stati militarizzati, di estrema destra e illiberali, in cui vige la sorveglianza di massa? E in un mondo di violenza nuda e cruda, dove il potere è deciso con la forza delle armi, quali possibilità ha davvero la sinistra di oggi contro l’estrema destra?

La politica non è una questione di fantasia. Si tratta di analizzare il reale equilibrio di potere e di promuovere i propri obiettivi al suo interno.

Quindi la domanda per noi è semplice: qual è la posizione realista della sinistra europea nelle condizioni attuali?

A mio parere deve partire da due requisiti contemporaneamente:

* Primo, garantire la sopravvivenza strutturale di uno spazio democratico.

* Secondo, lottare dall’interno di quello spazio per ridefinirne il contenuto politico e sociale.

Ciò significa combattere le politiche neoliberiste con il doppio della forza, ma senza rinunciare al quadro democratico in cui questa lotta è ancora possibile.

In effetti, il progetto europeo – la democrazia liberale in generale – è una contraddizione totale. Protegge dall’arbitrarietà del potere politico, ma lascia le persone indifese contro quella del capitale (a questo proposito, nei cosiddetti Stati socialisti era il contrario: una certa protezione dall’arbitrarietà economica, nessuna dal potere politico).

Ma coloro che oggi hanno la capacità e la volontà dichiarata di smantellare questo progetto sono i regimi in cui i cittadini non sono protetti né dall’oppressione politica né da quella economica.

Ricordate, abbiamo iniziato chiedendoci cosa intendiamo con “noi”. Naturalmente, dalla prospettiva di sinistra, non si tratta di uno Stato nazionale o di una Comunità Europea, ma di una classe operaia globale.

Credo che dovremmo tenere presente pero’ che né la vita umana, né i diritti dei lavoratori, né l’ambiente possono essere protetti in uno Stato che rientra nella “zona d’influenza” di potenze imperialiste autocratiche ed estrattive come la Russia di Putin, gli Stati Uniti di Trump o la Cina.

In un mondo dominato da una politica di grandi potenze senza freni, le organizzazioni progressiste e i loro valori vengono sempre annientati, prima politicamente, poi fisicamente.

La democrazia liberale è piena di contraddizioni. Ma sono contraddizioni che possiamo combattere al loro interno.

La libertà di organizzare sindacati, i diritti delle donne, le politiche sociali, la solidarietà internazionale: tutte queste non sono astrazioni, ma infrastrutture materiali che dipendono dalla nostra capacità di sostenere il piccolo spazio di libertà che un tempo fu ottenuto con grande sacrificio.

©MicroMega.net, 2 Settembre 2025


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