Proviamo un sentimento di impotenza oggettiva , data dal non riuscire a contenere, con gli attuali strumenti del diritto internazionale e delle sue istituzioni, le politiche di forza degli Stati.
L’idealismo disarmato è inerme, incapsulato in continui appelli di piazza, appelli che per loro stessa natura sono incapaci di incidere sulla dura realtà di stati che si muovono, secondo una logica di primordiale volontà di potenza che normalizza la violenza e l’orrore e ne assorbe il significato.
Perché mediare presupporrebbe avere un ruolo riconosciuto, potere e proposte che abbiano la forza politica di poter essere attuate , inutile dirsi per la trattativa per principio o per retorica.
Per questo l’ Europa è impotente. Perché non riesce a farsi potenza . Non ha una proiezione esterna di cui una politica di difesa è il presupposto, solo il Vaticano , il Papato , riusciva ancora ad esserlo. Ora, forse , non più.
Mentre in Ucraina, l’Unione Europea, con assetti più solidi che ancora non ha, potrebbe avere un peso specifico significativo , in Medio Oriente non ne ha alcuno: al di fuori degli attori regionali, l’unico ad avere voce in capitolo sono gli Usa.
Il loro azzardato intervento diretto, che cambia gli scenari ma i cui effetti sul campo non sappiamo valutare, sicuramente avrà invece come effetto e contropartita , voluta e rivendicata , quello di legittimare a posteriori il militarismo putiniano e l’invasione dell’Ucraina ieri , oggi una nuova reazione iraniana e dei suoi proxy terroristi e l’ interventismo cinese domani , secondo una visione anticipata di spartizione di spazi imperiali
Perchè appare evidente che finito o in sonno il diritto internazionale conosciuto , l’unico criterio generale per rivendicare e legittimare il potere rimane solo quello di un diritto storico ancestrale , del suolo , del sangue , in un ciclo continuo di guerra e ritorsioni.
Un tempo della storia nel quale ognuno , indipendentemente dalla sua natura politica, democrazie o regimi autoritari, si sentira’ ormai legittimato ed autorizzato a competere e intervenire militarmente se credera’ di averne la forza.
Una storia che lungi dall’essere una traiettoria progressiva, si rivela uno scontro dove le potenze ridefiniscono la propria essenza nella contrapposizione, mosse da interessi che travalica ogni confine etico.
L’idea di un “mondo capovolto” , dove la vittima è umiliata e colpevolizzata e il carnefice ossequiato, è una ferita aperta nella coscienza collettiva
L’architettura istituzionale post-bellica, eretta a garanzia di un’era di cooperazione, si manifesta oggi nella sua disaggregazione strutturale. L’ONU, e le varie istituzioni simboli di un multilateralismo ambizioso, appaiono come residui di un’epoca conclusa, incapaci di contenere la re-legittimazione dell’uso della forza come strumento primario di risoluzione dei conflitti.
Eppure , se e quando le polveri si saranno posate sul terreno , dovremo ricominciare da qui dal pensare e rilegittimare le Nazioni Unite e dei soggetti terzi dotati di poteri in grado di far valere le decisioni , i pacta sunt servanda ,il rispetto dei limiti, l’ inviolabilità della sovranità di una comunità statuale.
L’obiettivo , se non può essere quella di eliminare la guerra, sia almeno quello di regolarla, cercando di far applicare il diritto umanitario,nella consapevolezza che tali sforzi rappresentano solo una minima tutela in un contesto di anarchia risorgente e violenza endemica.
La rapida e violenta successione di eventi storici ha annullato un’intera epoca, mettendo in discussione il destino di una civiltà giuridica e la necessità di una sua rifondazione.
Esiste tutt’ ora uno scarto irriducibile negli uomini, dove si annidano paure, sogni e speranze e nonostante la percezione di un’anima oscura che avvolge la nostra storia , l’uomo è ancora qui e le comunità sono chiamate ad affrontare il male e a cercare soluzioni.
Non si tratta di continuare a condannare, con ripetizioni nevrotiche, ma di agire, di contenere i conflitti definendoli, di comprendere le dinamiche di forza che modellano le azioni della politica degli stati e di operare per un futuro in cui la la diplomazia e la coesistenza di stati e comunità politiche anche se imperfette siano ancora possibili.
Il solido nulla
In questi giorni di solstizio d’estate , guardando le immagini provenienti dai satelliti , il nostro emisfero appare in piena luce: una goccia blu che vaga nello spazio dove , senza l’effetto dell’atmosfera che scompone i raggi solari , il cielo appare per quello che è , nero, la vera luce del sole bianca e nel vuoto le onde sonore non si propagano.
Pensiamoci. All’opposto del rumore , del furore assordante che proviene dalle azioni distruttive, dalle armi dell’uomo, lo spazio è pieno di silenzio.
Noi , diceva Stephen Hawking, “siamo una specie di scimmia evoluta , apparsa su un piccolo pianeta di una stella di media grandezza” .
Siamo un punto di un braccio periferico , quello di Orione, di una galassia che ha un diametro di circa 100 mila anni luce e contiene 100 miliardi di stelle e milioni di sistemi planetari.
Parte di un ammasso galattico che ne contiene altri miliardi e cosi via fino all’estremo limite dell’universo conosciuto , nato per una imprevista fluttuazione quantica del vuoto, in un sistema dove fra un miliardo di anni, probabilmente, scompariremo seguendo il destino del nostro sole.
Eppure “considerando e sentendo che tutto è nulla , un solido nulla ” di cui parlava Giacomo Leopardi , nonostante questa consapevolezza di fragilità che dovrebbe ispirarci interconnessioni e una profonda cura per la nostra casa e per noi stessi,
la nostra volontà di potenza e dominio , un delirio di invincibilità eterna, la coazione a ripetere errori e azioni distruttive e autodistruttive, spinti da una sorte di pulsione di morte , appare prevalente e ci sfianca.
Non è una questione di mancanza di conoscenza; i dati sono chiari. È una questione di volontà, di etica, e forse di una patologia collettiva di cui non troviamo ancora la cura. Sembra che l’umanità, nella sua corsa al dominio , stia deliberatamente ignorando i pericoli, il caso e le necessità.
Tuttavia, nonostante tutto , questo quadro è comunque incredibilmente potente , perché pur essendo così piccoli, siamo in grado di comprendere e descrivere questa vasta scala cosmica, siamo in grado di porci domande sull’universo, sulle sue origini, su di noi, sulla nostra storia, sul nostro agire e il suo destino.
La sfida rimane e risiederà nel capire come potremo invertire questa rotta che ci sta portando alla deriva . Come far sì che le nostra capacità e la nostra consapevolezza si traducano in responsabilità e azioni concrete per un futuro comune.

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