Gesù rispose “….Chiunque è per la verità, ascolta la mia voce . Pilato allora gli disse ” Cos’è la verità? ” Giovanni 18, 37-38.
Gli eventi che il cristianesimo, in tutte le sue varie declinazioni e confessioni, si appresta a ricordare in questi giorni, si svolsero in una terra chiamata allora Regno di Giudea, sotto dominazione romana, con Tiberio imperatore.
Avvennero a Gerusalemme, indicativamente tra il 31 e il 33 dc. in occasione delle feste degli azzimi la Pesach , la Pasqua , la festa ebraica che ricorda la liberazione e l’esodo degli ebrei dall’Egitto.
Infatti Gesù era ebreo e parlava l’aramaico giudaico; nella sua lingua si chiamava Yeshu’a – Yehoshu’a ; e nei Vangeli , scritti in greco, era detto Christòs, il Cristo, traduzione dell’ebraico māšīāḥ , il Messia , che significa “unto”; dato che nell’antico Medio Oriente, era d’uso consacrare re, sacerdoti e profeti con l’unzione di oli aromatici.
Noi , da duemila anni , non ricordiamo e celebriamo solo la resurrezione di Yeshu’a il Messia, ma anche la resurrezione dei morti che avverra’ con la parusia ( la platonica «presenza» dell’idea nella realtà ) cioè il ritorno di Gesu’ tra gli uomini per instaurare il Regno di Dio.
Ma il sacro di oggi appare rimpianto nostalgico, spogliato degli elementi tragici che la sensibilità moderna ha respinto e rivestito di un’aura sentimentale.
Il messaggio della resurrezione scomparso dietro una generica speranza ed invocazione alla soluzione dei problemi individuali e collettivi, dalla malattia , alla violenza , alla sofferenza.
Ma una risposta cristiana può darla solo la teologia della croce. E’ lo sguardo sull’ora nona, sul «non ancora» realizzato, di fronte al permanere di una condizione umana irredenta, per la sua fragilità che continua a patire e a morire, per il nostro trascinarci da duemila anni nella stessa incapacità di fare il bene che pure vorremmo.
San Paolo nei Corinzi scriveva: Se non c’è resurrezione dei morti, neanche Cristo è risuscitato. Ma se Cristo non è risuscitato, allora il nostro annuncio è vano, vana è anche la vostra fede.
E qui non si sfugge ad una stretta drammatica : il continuo procastinarsi del momento della salvezza.
Quel momento che Gesù e gli apostoli indicavano vicino e ormai prossimo , si è invece allontanato nel tempo e nello spazio.
Dopo duemila anni i morti non sono ancora risorti, le promesse sono ancora da attuarsi, i miti e i piccoli non possiedono la terra e Dio non ha ancora reso la “pronta giustizia” ;
Già rileggendo Giobbe e il Qohelet non si dubita di Dio, ma i testi sembrano disperare che possa salvarci.
Questi sono tempi di guerra in cui tutto è tornato ad esercitarsi secondo una logica di pura forza , sangue e suolo , dove, dopo 2500 anni, siamo ancora ad Eraclito : “ Polemos (la guerra) è padre di tutte le cose, il re di tutte le cose”
La guerra , da sempre la più radicale manifestazione estroflessa dell’esercizio del potere, dove la pace , se e quando ci sarà , temiamo non sarà mai quella giusta, ma quella possibile nelle condizioni date dai rapporti di forza e dall’esercizio della violenza sugli spazi e sugli inermi, ancor più se non vogliamo o possiamo difenderli.
Con Sergio Quinzio ci chiediamo : la Pasqua celebra il Dio che salva liberando dalla schiavitù , ma è stata forse salvezza per gli ebrei uscire dall’ Egitto?
La Pasqua celebra il Dio che salva risuscitando dai morti , ma è stata forse salvezza per noi la resurrezione di Gesù ?
Guardo le immagini dei corpi lacerati da Kyiv a Gaza, al Sudan , i visi trasfigurati di popoli sotto il fuoco.
I martiri, nell’Apocalisse, gridano : “Fino a quando, Signore, tarderai a fare giustizia, a far vendetta del nostro sangue sugli abitanti della terra?” (6, 10) .
Ma un mondo in cui un bambino ferito soffre e muore non può essere che distrutto. Tutti i luoghi costruiti dalla malignità dell’uomo , se c’è una salvezza, dovrebbero essere distrutti.
La salvezza cristiana non consiste nel colmare un non senso o una mancanza ma dovrebbe essere anche distruzione del “mistero dell’iniquità” (2 Tessalonicesi 2,7-)
“La fede e’ fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono ” dice la Lettera agli Ebrei, ma sappiamo anche , con Luca, che il Figlio dell’ Uomo quando verrà, potrebbe non trovare la fede sulla terra.
E allora cosa rimane ? pasqua, pesach, in aramaico significa andare oltre, oltrepassare….
Il filosofo Jacob Taubes, interrogandosi sulla teologia politica di San Paolo ha scritto:
” la Legge non è il primo e l’ultimo termine, perché persino tra uomo e uomo esistono situazioni che “varcano” e “oltrepassano” la Legge: l’amore, la pietà e il perdono”.
Nei cambiamenti in corso dovremo tenere fermo questo punto di riferimento, che oltrepassa e non si lascia inglobare dalla totalità e dalla trasvalutazione dei valori : la pietas e l’empatia verso gli uomini, assumendone la loro debolezza più che la loro forza, il rispetto e la difesa dei diritti fondamentali dell’uomo e della loro sacralità.
Le trasformazioni e il disordine mondiale che stiamo attraversando potrebbero riconsegnarci un mondo, una dimensione che non riconosceremo più come nostro e che forse solo alla fine ne vedremo il profilo, gli elementi di valore, di continuità e di senso
Quid est veritas? e’ la domanda di Pilato in una delle scene più drammatiche e simboliche della storia dell’uomo, una domanda che pare insinuare in Gesù, un dubbio sulla verità e su Dio,
Quid est veritas?, oggi 2025 , è anche un dipinto del 1890 del pittore russo Nikolaj Nikolaevič Ge , conservato a Mosca nella splendida Galleria Tretyakov.
Gesù appare inghiottito dal buio, in piedi, con le braccia legate dietro la schiena. Pilato illuminato da un fascio di luce che proviene dall’ingresso, con il braccio proteso, l’antico gesto dei potenti romani. È di spalle ma si vede il suo sorriso irridente.
La figura è alta. la toga orlata e sontuosamente drappeggiata. Due figure antitetiche.
Un rovesciamento del modo consueto dell’arte russa di rappresentare Cristo: il volto “non bello”, dai tratti marcati, la barba e i capelli incolti, i vestiti laceri e scuri……
Ma non tutti sanno che questo dipinto ha un suo “gemello”, una replica fatto dallo stesso artista e conservata in Ucraina, al Museo d’Arte di Odessa.
I quadri simbolo di un legame, comunque ci parlano della Passione e ci mostrano lo sguardo dolente del Cristo che resiste al male.
Mi piace pensare che in questi giorni di Pasqua , come una correlazione quantistica sacra , questi dipinti possano comunicare fra di loro a distanza.
E a noi non sarà dato sapere cosa si diranno.
Mauro Montalbetti

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