La guerra d’agosto

La guerra d’agosto


Tra foto e stories della nostra estate, la guerra è proseguita per tutto il mese di agosto, con i suoi lutti, le sue devastazioni, le sue vittime, i suoi “urbicidi”
All’inizio di settembre dal Libano all’ennesimo attacco missilistico russo su vasta scala in Ucraina, I conflitti nei due principali teatri a noi vicini, sembra non dare segni di cedimento e di interruzioni, a Kyiv siamo al terzo anno di guerra.


Tutto ciò dovrebbe aiutarci a prendere coscienza della inefficacia ed insufficienza di un messaggio, di un posizionamento politico, spesso maggioritario, nella società civile occidentale ed europea che in tanti anni non è mai riuscito ad andare oltre l’invocazione alla pace nel mondo.
Senza analisi, proposte concrete di politiche e soluzioni parziali e minime, anche diplomatiche militari e di difesa , per intervenire qui e ora nei conflitti in essere, chiusi nella comfort zone di appelli morali che servono sostanzialmente a rassicurare i nostri mondi di riferimento e l’opinione pubblica.
Appelli che, come abbiamo visto, i protagonisti dei conflitti, stati, eserciti, forze irregolari, galassie terroristiche, governi, apparati stanno rispedendo indietro al mittente, senza porsi troppi problemi e remore.
Le cronache dei contatti , dei colloqui diretti o indiretti tra le parti belligeranti che pure sono in essere , sembrano funzionali solo a pause tra una fase del conflitto e quella successiva
Siamo di fronte a un ritorno della politica e della storia che gli attori principali interpretano secondo una essenziale logica di forza, sangue e terra, e solo quando la polvere del conflitto si sarà diradata e se ne vedranno i risultati sul campo, quando si saranno ristabilite una sorta di equilibrio dei rapporti di forza, di deterrenza allora e solo allora potrà aprirsi uno spazio alle tregue.
In tutto ciò, il numero delle vittime, per quanto la cosa possa apparire ed è cinica, il numero delle vittime è totalmente irrilevante.


Si gioca sull’effetto di assuefazione mediatica e sul prendere l’avversario per sfinimento , prevale la sensazione di una irreversibilità degli eventi
A questo quadro reagiamo con un debole senso della realtà, un’inconsapevolezza del numero e della varia complessità delle minacce che incombono.


Questo rifiuto di vedere e valutare l’effettiva natura dei pericoli, di considerare autentiche le intenzioni ostile di alcuni attori della scena internazionale e conseguentemente prenderne le contromisure)
porta al prevalere dell’attendismo, le dissociazioni , le prese di distanza, una sorta di arrendevolezza data dal fatto che non si riesce più a pensare il negativo. ( Galli della Loggia ) e di conseguenza anche il conflitto e la guerra, rappresentano dimensioni quasi impossibili da pensare e concepire e quindi da accettarne nelle sue dinamiche proprie
Ma il male esiste ed è incarnato nella storia umana e dobbiamo affrontarlo, non è un caso che l’esperienza e l’attraversamento del male sia la grande eredità che ci lascia tanto immaginario occidentale contemporaneo, come la narrativa dell’ ultime opere, l’eredità di Cormac McCarthy , premio Nobel per la letteratura.
E del resto cos’è la Passione di Cristo sulla Croce se non la manifestazione del male? La Croce e il Nulla di cui parlava Sergio Quinzio, la disperazione di chi non si rassegna all’assenza della salvezza?
La presenza della dimensione del peccato, timori e inquietudini che hanno sempre rappresentato nel cristianesimo potenti elementi simbolici della presenza del male nella storia.
Per non parlare degli interrogativi nella seconda metà del novecento da Jonas ad Adorno dalla Arendt a Bauman su quale etica, metafisica , quale discorso sia realmente possibile dopo l’esperienza di Auschwitz.


Affievolite o rimosse queste consapevolezze , questi nodi ,stiamo vivendo ora un tempo nel quale a fatica cogliamo come la politica sia tornata ad essere aspra e drammatica con nazioni e popoli che stanno ridefinendo la loro identità nazionale nella contrapposizione con il nemico , in una situazione di emergenza dove si rinforzano ed emergono linee di frattura definite in modo brutale e violento


I protagonisti sono tornati ad essere gli Stati che si muovono per interessi leciti e meno, dichiarati e non dichiarati, per sfere di influenza, per difesa del proprio territorio, della propria comunità, per esercitare un’egemonia, una sovranità, anche se maligna.


Siamo in presenza anche di apparati e poteri sopranazionali spesso interconnessi, poteri che sulla base di negoziazioni dimostrazione ed uso della forza economica, militare, gestiscono decisioni fondative e strategiche.


E da qui la percezione di un caos di un disordine che nessuna regolazione riesce oggi a governare. Eppure questo disordine e questo caos andrebbe indagato, distinto nelle sue singole parti , per capire equilibri e rapporti di forza, proporre concrete soluzioni politiche


L’indispensabile azione umanitaria non può essere l’alibi dietro cui nascondere la mancanza di volontà politica di leggere il conflitto, schierarsi e assumere concrete decisioni e azioni coerenti , dove , Weber ci insegna, a guidarci è l’etica della responsabilità rispetto a quella dei princìpi e delle convinzioni.


Ma questo comporterebbe appunto un di più di responsabilità ed un impegno collettivo che nessuno oggi sembra avere il coraggio di assumere
In assenza di una politica di giustizia internazionale, di un soggetto istituzionale terzo, riconosciuto da tutti, che assuma su di sé, il monopolio e l’uso della forza, di reali forze di interposizione che possano intervenire tra le parti , riemergere così l’anarchia.


Paradossalmente è l’assenza di un equilibrio, di un potente stato egemone, il vuoto di potere, la stessa crisi del riluttante impero americano , a consentire anche medie potenze regionali ad altri attori di muoversi liberamente.


A tutto ciò non possiamo rispondere solo con afflati morali, con il rischio di persistere con un approccio su meta-categorie prepolitiche: bene e male, guerra e pace, giustizia e ingiustizia ,su un piano etico-astratto che viaggia in parallelo al piano della realtà fattuale in una incomprensione reciproca senza mai incontrarsi.


Le conseguenze e l’impatto di queste guerre in termini geopolitici sull’ economia globale, di come si ridisegneranno gli equilibri di potere fuori e dentro gli stati , sono enormi, già in essere per tanti aspetti ma al momento non prevedibili , se non nel rischio sin qui evitato di una ulteriore escalation


Siamo tra soggetti che non si muovono secondo principi di giustizia, di uguaglianza, ampliamento delle sfere dei diritti , ma per la difesa, la perpetuazione, l’espansione dei propri interessi,


Emile Cioran ebbe a scrivere un giorno “Machiavelli sa bene che Marco Aurelio è stato un’eccezione .. i Tiberio, i Nerone, i Caligola, sono la materia della storia. ogni principe che conosca il proprio mestiere è un mostro dichiarato o attenuato e corretto, per questo Machiavelli lo mette in guardia ….uno Stato non si compone né di angeli, né di agnelli “


La crisi contemporanea sta toccando aspetti essenziali dell’ ordine politico e giuridico , di quel disegno istituzionale invecchiato imperniato attorno alle nazioni unite, la banca mondiale , Il Wto e tutti gli assetti multilaterali su cui si è realizzato l modello storico di convivenza degli stati, viviamo nel pieno di cambiamenti d’ epoca e di paradigma, ma non riusciamo a dominarli.


Il centro , il nodo oggi è rappresentato dalla crisi delle norme sull’uso della forza come mezzo ordinario di risoluzione delle controversie tra gli stati, scrive Alessandro Colombo, crisi la cui soluzione diventa politicamente e giuridicamente cruciale.


Perché l’invasione russa dell”ucraina e il carnage mediorientale sono il culmine di un processo di rilegittimazione dell’uso della forza e della guerra, che è da sempre tragica manifestazione estroflessa dell’esercizio del potere, suo instrumentum regni.


E allora siamo arrivati ad un crinale in cui , preso atto della esistenza e della permanenza della guerra, forse conviene “regolarla” , provando ad estendere l’ applicazione delle Convenzioni di Ginevra , il codice bellico, il cosiddetto Law of Armed Conflicts, potrebbero rappresentare almeno una forma di tutela , un cornice dove troverebbe spazio i suoi protagonisti nobili e meno nobili , le popolazione coinvolte, le vittime tutte.


Il recente scambio tra Russia e paesi occidentali tra spie e dissidenti , è la dimostrazione che all’interno di questa cornice, si potrebbe arrivare anche degli accordi impropri , dei “dirty deal “ come li definisce Wolfang Münchau , perché frutto di diplomazie spesso nascoste e negate alle rispettive opinioni pubbliche.


La storia ci ha riportato, riconsegnato agli arcani imperi , alla contrapposizione amico nemico come uno degli elementi costitutivi dello Stato , uno Stato che si determina , presuppone e preesiste alla politica.


“Sovrano è chi decide e governa lo stato d’eccezione “ E davanti alla guerra, stato d’eccezione per antonomasia , mentre attendiamo il nuovo mondo auspicato dal pensiero post-coloniale , forse converrebbe che le grandi potenze si ritrovino in un direttorio , attivando una nuova forma di concertazione che provi a disinnescare , gestire e contenere le situazioni più drammatiche


Tanti infatti sono i conflitti da Cipro , alle Coree, allo stesso quadrante iracheno-siriano , che si sono placati o sotto controllo , senza un vero trattato di pace ma con armistizi tra le parti che si perpetuano nel tempo.


Se vogliamo rilanciare la buona pratica del diritto internazionale affermatisi gradualmente dopo i conflitti mondiali, di modelli decisionali più evoluti e condivisi, mediazioni realmente pacificatrici per consenso, che hanno segnato un lungo tratto del nostro cammino dopo il 1945 , dobbiamo avere il coraggio di capire che questo è il contesto e il terreno su cui oggi siamo costretti a confrontarci ,disposti a risultati insoddisfacenti , ad impunità , a vedere realizzarsi solo parziali armistizi e tregue , ad un pace che potrebbe non essere quella giusta ma solo quella possibile, oppure come portatori dei valori dell’umano e dei suoi princìpi, saremo destinati ad una continua sconfitta


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